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L’insegnante di Shiatsu non trasmette soltanto una tecnica, ma un modo di percepire la vita attraverso il contatto.

Il suo compito non è quello di “insegnare a fare”, bensì di educare a sentire. A sviluppare quella qualità di ascolto che precede ogni gesto, quella presenza che permette di entrare in relazione senza forzare, senza giudicare, senza nuocere.

“Non nuocere” è la prima e ultima regola.

Significa rispettare il ritmo vitale dell’altro e riconoscere che l’intervento non nasce dal potere, ma dalla cooperazione. L’insegnante guida l’allievo a comprendere che ogni corpo racconta una storia diversa e che nessun protocollo può sostituire la sensibilità maturata nel tempo.

La teoria, nello Shiatsu, non è mai una verità assoluta.

È un canovaccio, una struttura di riferimento che orienta ma non determina. Serve a nominare ciò che si è già vissuto attraverso le mani, a dare forma all’esperienza. La pratica, invece, è il luogo dell’incontro reale: lì la conoscenza si rinnova, lì la teoria si verifica, si modula, talvolta si contraddice.

Il vero insegnante sa che la pratica precede la teoria, ma non la nega:

la teoria spiega il vissuto, lo ordina, lo rende comunicabile.

La razionalità, in questo senso, non è un freno ma un ponte: consente di comprendere quale esperienza, tra le molte vissute, si adatti meglio al momento presente.

Con il tempo, l’allievo impara che la teoria non è che esperienza condensata, strutturata, resa trasmissibile.

E che la pratica, ogni volta, la riporta in vita.

L’insegnante di Shiatsu custodisce proprio questo movimento circolare tra esperienza e consapevolezza, tra mano e mente, tra sentire e comprendere.

Non insegna a ripetere, ma a riconoscere.

E quando l’allievo, un giorno, smette di chiedersi “che cosa devo fare?” e inizia a domandarsi “che cosa sta accadendo?”, allora il suo insegnante ha davvero compiuto il suo lavoro.

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